mercoledì 11 dicembre 2019

Sentiero Zanin

SUPERGRUPPO ALPINO:
Catena Cavallo-Visentin


E' martedì 10 dicembre 2019, il clima è fresco, il cielo è sereno, con qualche foschia verso la pianura. Sono solo e verso le 10 parcheggio l'auto a quota m 315 circa, 1 km a nord di Tovena, sulla strada per il passo San Boldo. Poco prima del primo dei 18 tornanti della salita al passo, sulla sinistra (Ovest) c'è un capitello dedicato a Santa Ottilia. Di fronte, sulla destra, c'è uno spiazzo dove lascio la mia auto.
A destra del capitello inizia il sentiero Sergio Zanin, che qui e al suo termine porta l'indicazione del numero Cai 1031 bis, mentre sulla carta topografica n. 68 dell'editore Tabacco ha la numerazione 1031. Imbocco il sentiero, che poco dopo passa a fianco della chiesetta sconsacrata di san Vigilio e poi si impenna brevemente fino ad una modesta, ma curata (all'esterno) costruzione in legno a un piano, dotata di fonte esterna di acqua, l'unica in tutto il percorso odierno.




Subito dopo si arriva a un bivio, opportunamente dotato recentemente di due frecce che indicano a sinistra il nostro sentiero e a destra il "triol del Roby". Entrambi i sentieri hanno la stessa meta, e nel passato la mancanza di questa doppia indicazione poteva indurre a tenersi a destra (come ho fatto io due volte), ma il triol del Roby ha uno sviluppo poco logico, perché inutilmente ardito in certi passaggi, e quindi non mi sento di consigliarlo nemmeno per la discesa, a meno che non si sia in cerca di qualche emozione.




Il nostro tracciato invece è scelto con molta cura, evita esposizioni e si mantiene sempre sicuro. Prima si attraversa un tratto quasi pianeggiante, poi il sentiero inizia a salire con decisione in un bosco continuo di alberi poco imponenti, tra i quali distinguo molti noccioli. Poco sopra i 600 metri di quota, si raggiunge un altro bivio, ben segnalato. Anche qui dobbiamo tenere la sinistra (Ovest), mentre a destra ci si raccorderebbe col triol del Roby.
Una ripida e prolungata salita porta quindi ad una cresta, dalla quale a sinistra (Nord-Ovest) si vede la parete montuosa dove si trova il bivacco dei Loff sormontato dal Crodon del Gevero.



La cresta, inizialmente orizzontale e poi in salita verso Nord, sormonta due versanti alquanto dirupati, ma ben alberati ad attenuare il senso di vuoto. Da qui si vede anche la modesta cima dove termina il sentiero, ed ho notato che tale meta sembra più distante di quanto non sia veramente.















Terminata la cresta si affronta la rampa finale, che con qualche passaggio roccioso un po' scosceso, ma non pericoloso, porta alla Cima Campo (m 955), dove c'è un tavolino con due panche per un'opportuna pausa di ristoro.

















Qui si notano un appostamento militare, scavato e ricoperto di pietra forse un secolo fa, ed un punto panoramico - non adatto a chi soffre di vertigini - sulla sottostante valle che sale fino al passo San Boldo. Un cartello indica il più volte citato triol del Roby, ma non è facile capire dove si possa imboccarlo. Sempre da qui si snoda verso NordOvest un sentiero che porta in breve al passo della Scaletta, da cui si può scendere al passo San Boldo (m 700) con un sentiero che ben presto si trasforma in stradina asfaltata.



Io invece ritorno sui miei passi e sfidando il vento che soffia sulla cresta, senza però mettermi davvero in difficoltà, ritorno infine al capitello di santa Ottilia.









tracciato.gpx
DISLIVELLO IN SALITA: m 650 circa
ORE DI CAMMINO: 3 e 1/4
DIFFICOLTA': E

mercoledì 11 settembre 2019

Sentiero Tivan

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti Settentrionali di Zoldo


E' martedì 10 settembre 2019, il clima è fresco, il cielo è prevalentemente sereno, ma la Civetta, oltre a favorire la formazione di nuvole data la sua altezza, per lo stesso motivo ci nasconde il sole per tutto il giorno. Domenica scorsa sulla parte alta dell'itinerario di oggi è caduta la neve, che però ieri si è sciolta, resistendo solo sulle cenge più elevate. Siamo in due.
Verso le 9,10 parcheggio l'auto a quota m 1515 circa, a Palafavera, in alta Val di Zoldo, alla partenza del sentiero Cai n. 564, come nell'escursione dell'anno scorso alla forcella Col Negro di Coldai. Fino al rifugio Sonino al Coldai (m 2132) infatti il percorso è identico a quello dell'escursione di allora.




Al rifugio ci rifocilliamo brevemente (nel corso della giornata non avremo più il tempo e l'occasione di farlo nuovamente) ed imbocchiamo verso sinistra (Sud) il sentiero Tivan scelto per l'escursione odierna e contrassegnato dal numero 557.







Tutto il percorso si snoda ai piedi del versante Est della Civetta. Dopo un semicerchio saliamo ad un primo valico, lasciando a sinistra i Torrioni delle Ziolere, e ci dirigiamo verso una modesta appendice della Torre Coldai, che però ci introduce con un tratto scosceso di salita all'ambiente della giornata.





Affrontiamo quindi, dopo aver oltrepassato a sinistra il Crodolon, il passaggio più scabroso del giro, lo scavalcamento di una propaggine della Torre d'Alleghe. La salita è attrezzata con alcuni tratti di corda metallica ed include passaggi di primo grado, agevolati dalle corde, ma per me alquanto impegnativi. Come nel resto dell'escursione, l'esposizione non è mai troppo accentuata, ma sufficiente a provocare una certa tensione.






Questa salita richiede inoltre una discreta tecnica, il che non mi pare adeguatamente segnalato nelle relazioni che si trovano in rete.
Attraversiamo quindi un vallone cosparso di grossi massi (Masarè) e ci avviamo a scavalcare lo Schinal del Bech (m 2300), un'elevazione poco elegante che si stacca dalla parete della Civetta, tra la Torre Da Lago e il Pan di Zucchero..







Anche questo passaggio è attrezzato, ma più breve del precedente, e dopo la diramazione a destra per l'attacco alla via ferrata degli Alleghesi il sentiero ci introduce in un vallone denominato Busa del Zuitòn, dove una marmotta, indaffarata nei preparativi per il prossimo letargo, ci osserva attentamente da lontano











Come si vede da queste ultime foto, l'ambiente è imponente per l'enormità e la vicinanza delle pareti della Civetta. Neanche dopo questo secondo tratto attrezzato posso però rilassarmi, perché ci aspetta un'altra salitina con un'unica corda metallica di pochi metri, ma inserita in un'altra parete un po' esposta.






Passate le propaggini della Crepa Bassa, entriamo nel vasto anfiteatro dove si stacca verso destra (Ovest) dal nostro sentiero il raccordo per l'attacco alla via normale alla Civetta, da me percorsa fino alla cima due volte parecchi anni fa. Dopo un'ultima salita, il sentiero inizia alla buon'ora a perdere quota, prima timidamente e poi, dopo un bivio dove andiamo a sinistra (Est), più decisamente. Ad un'ulteriore biforcazione prendiamo ancora a sinistra (Nord) e seguendo il segnavia 587 scendiamo ripidamente lungo la Valle Civetta, attraversando radure prodotte dalla tempesta Vaia di fine ottobre 2018 con l'abbattimento di macchie di alberi, specialmente abeti rossi. Finalmente il sentiero raggiunge il corso del torrente Maè e diventa una strada liscia e quasi pianeggiante, per entrare infine a Pecol Vecchia, dove un'auto pubblica ci aspetta per riportarci a Palafavera. In sintesi l'escursione può definirsi interessante per l'ambiente di alta montagna che attraversa e impegnativa per la sua lunghezza e soprattutto per alcune salite su terreno piuttosto severo che richiede un'attenta concentrazione.







DISLIVELLO IN SALITA: m 950 circa
ORE DI CAMMINO: 7 e 1/2
DIFFICOLTA': T fino a casera Pioda, E il resto, con alcuni tratti EE (attrezzati e non)

giovedì 5 settembre 2019

Monte Pavione

SUPERGRUPPO ALPINO:
Alpi Feltrine



E' martedì 3 settembre 2019, il clima è soleggiato, anche se ogni tanto si formano nuvole, che però non arrivano mai a minacciare precipitazioni. Siamo in quattro e giungiamo in auto (un robusto e comodo fuoristrada) al rifugio Vederna (o Vederne, m 1324), situato su uno spiazzo ameno a Nord-Ovest del monte Pavione, la cui cima è la nostra meta. La stradina sterrata che porta al rifugio partendo dalla località Pontet nel fondovalle del Cismon, lunga 11 km, è impressionante per l'arditezza del suo tracciato, aggrappato alla montagna, che richiede nervi saldi al guidatore e buoni ammortizzatori all'auto.


Imbocchiamo verso Sud il sentiero n. 736A che attraverso un bosco misto ed intersecando la prosecuzione della stradina porta in poco più di mezzora all'ampia radura di malga Agnerola (m 1550), a cui fanno capo mandrie di cavalli e di mucche al pascolo e dove si produce un buon formaggio. Adesso il versante Ovest del Pavione, dove si svolge il percorso che ci accingiamo ad affrontare, si staglia davanti ai nostri occhi, sollevando in me qualche perplessità per la sua severità.
Il sentiero, che ora prende il numero 736 senza cambiarlo fino alla cima della montagna (anche se dal passo in poi si abbina alla numerazione 817), punta dapprima verso Est sotto la cima del Pavione in un bosco prevalentemente di abete rosso e di larice, quasi immune allo sfacelo provocato altrove dalla tempesta Vaia di fine ottobre 2018.
Nel bosco la salita è regolare con zig-zag che con pendenza costante e non troppo faticosa portano fino a quota m 1900 circa. Poi il sentiero esce dal bosco e si dirige verso Sud con lunghi traversi su terreno scoperto ed alquanto scosceso, guadagnando quota meno ripidamente, ma costringendo ad usare le mani in certi passaggi dirupati a causa di tratti rocciosi (uno assistito da una breve, ma opportuna corda metallica) o su terreno sconvolto dalla caduta di qualche albero.

Finalmente si arriva al passo del Pavione (m 2069) dopo due ore di impegnativo cammino da malga Agnerola e circa 800 metri di dislivello in salita dal rifugio. Il passo congiunge il versante Ovest (quello da cui proveniamo) con il versante Sud del Pavione (quello di Aune) ed è ricoperto da vasti prati erbosi spazzati dal vento. Ora è possibile vedere verso Nord la cima del monte Pavione, che si mostra anch'essa erbosa, ma alquanto più alta del passo.

A questo punto la mia scarsa frequentazione della montagna di quest'anno si fa sentire con un ordine che non posso ignorare: fermati! Non è solo questione di insufficiente forma fisica, ma anche di poca abitudine allo sforzo nervoso richiesto dalla tensione della salita di una montagna la quale, lo ripeto, risulta piuttosto impegnativa se non si è abbastanza allenati fisicamente e mentalmente. La rinuncia mi costa molto, perché il Pavione è una mia meta da molti anni, ma anche a posteriori ritengo che sia la scelta più saggia, per non creare inutili problemi a me ed ai miei compagni.


I miei tre amici, raccomandandomi di aspettarli lì, si avviano quindi verso Est lungo il ripido e faticoso pendio erboso che fa guadagnare quota in breve tempo. Raggiunta la larga cresta, la pendenza diminuisce ed il sentiero, ben individuabile, si dirige verso Nord affiancato da brusche scarpate da entrambi i lati, stringendosi un po' per un breve tratto.




I tre, dopo aver incrociato una coppia di escursionisti con cane, toccano finalmente l'ampia cima del monte Pavione (m 2335) in meno di un'ora dal passo, e possono ammirare il sontuoso panorama che si apre specialmente verso Nord-Ovest sopra la valle di Primiero e verso le Pale di San Martino.

Dopo un po' cominciano la discesa verso il passo, a ricongiungersi con me che li attendevo sotto le nuvole che salivano dalla Busa di Monsampiano.

La discesa dal passo lungo il percorso dell'andata si rivela meno scabrosa delle mie previsioni, grazie anche alla decisione di viaggiare in un gruppo compatto.
Ci fermiamo un po' a malga Agnerola, dove due di noi acquistano del formaggio, ed arriviamo finalmente al rifugio Vederna, dove festeggiamo la (loro) impresa con quattro buone birre, che, secondo il nostro autista, se bevute in quota non alterano la lucidità del bevitore.









DISLIVELLO IN SALITA: m 1100
ORE DI CAMMINO: 6,30
DIFFICOLTA': EE (soprattutto nella seconda parte della salita al passo) - E

sabato 20 luglio 2019

Rifugio Città di Carpi

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti di Sesto



E' venerdì 19 luglio 2019, il clima è nella media stagionale, in cielo transitano nuvole, con momenti, specialmente nelle ore centrali, di copertura totale e qualche accenno di pioggia, la quale però ci ha risparmiati. Siamo in cinque e parcheggiamo le auto davanti l'albergo Cristallo (chiuso) a Federavecchia (m 1368), sulla destra lungo la strada che da Auronzo sale a Misurina.


Imbocchiamo il sentiero n. 1120 che incontra presto due biforcazioni. Alla prima, ben segnalata, occorre prendere a destra, mentre alla seconda è meglio tenersi a sinistra, contrariamente alle indicazioni contenute nelle numerose frecce segnaletiche.





Si sale ripidamente per uno stretto sentiero a fianco (destra orografica) di un torrentello, che poi si supera per attraversare un piccolo spiazzo pianeggiante ricoperto di rami d'albero. Tutto il percorso della nostra escursione odierna si svolge su terreno boscoso, con alberi di abete rosso non molto fitti.


Scavalcata una recinzione per gli animali al pascolo (ci sono delle maniglie che ci permettono di staccarla dal paletto di sostegno, per poi rimetterla in sede dopo il nostro passaggio), arriviamo così ad una stradina asfaltata - percorsa da qualche occasionale automobile e proveniente da quota m 1234 della strada principale - sempre col n. 1120, da risalire fino a quota m 1730 circa, quando troviamo una stradina a sinistra (Nord), larga come la precedente, ma col fondo sterrato, che porta il n. 120.


Proseguendo dritti saremmo arrivati in meno di mezzora di percorso in lieve discesa a Malga Maraia (m 1696). A questa malga, che offre servizio di ristorazione, si può arrivare anche con un sentiero che inizia più avanti a destra, ad una curva a gomito verso sinistra del sentiero n. 120, oppure direttamente dal rifugio Città di Carpi.
In località Bus de Pogofa (m 1950 circa), a cui perveniamo dopo due ore e un quarto dalla partenza, il nostro sentiero si immette in quello proveniente da Misurina (Ovest) via rifugio Col de Varda e diretto ad Est (destra) alla nostra meta, mantenendo il segnavia 120.



Dopo meno di mezzora avvistiamo il rifugio Città di Carpi (m 2120), situato in luogo molto gradevole con bella visuale su Marmarole e Sorapiss a Sud su un terreno libero da alberi poco sopra la forcella Maraia, che si apre tra i retrostanti Cadini di Misurina a Nord e la più modesta Croda di Campoduro a Sud-Est, la cui cima è raggiungibile in mezzora dal rifugio.




Il luogo è affollato, ma troviamo fortunatamente un tavolo libero in una delle due stanze adibite a ristorante del rifugio.




Dopo esserci adeguatamente rifocillati ed aver scambiato quattro chiacchiere tra di noi, ripartiamo per il ritorno sotto un cielo minaccioso, che però, come avevo già accennato, ci risparmia rovesci di pioggia, che erano invece previsti con una probabilità del 50% dal servizio meteo.






Al termine di due ore di marcia ininterrotta, lungo il percorso di salita, raggiungiamo le nostre auto.
















DISLIVELLO IN SALITA: m 800
ORE DI CAMMINO: 5
DIFFICOLTA': E-T

tracciato gpx

martedì 19 febbraio 2019

Cima Sief

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti Orientali di Badia



E' lunedì 18 febbraio 2019, il clima è ideale per la stagione, il cielo è limpido, in tutto il giorno non abbiamo mai visto nemmeno una nuvola.  Siamo in tre e parcheggiamo l'auto lungo la stradina che, partendo dalla strada statale 48, porta al Castello di Andraz, sotto il Passo Falzarego (m 1745). Percorsi alcuni metri ancora sulla stradina, con fondo irregolarmente ghiacciato, troviamo sulla destra l'imbocco di un sentiero con una freccia che indica - tra l'altro - la nostra meta odierna. Calziamo le ciaspe alle 10,15 e affrontiamo il sentiero. Come per tutto il percorso di oggi il fondo è innevato, con poca neve abbastanza assestata, molto segnata dalle tracce di ciaspolatori, scialpinisti ed escursionisti che ci hanno preceduto, dopo l'ultima nevicata di una settimana fa.


Il sentiero - che inizialmente attraversa un bosco poco fitto e non colpito dalla caduta di alberi, che invece ha caratterizzato in modo drammatico i boschi di abete rosso delle zone circostanti - non è numerato né segnalato, ma la direzione verso il passo Sief (Ovest) ci viene sempre indicata dalle tracce suddette, aiutati come siamo dalla possibilità di individuare già da lontano il passo. Il percorso alterna tratti pianeggianti a qualche strappo un po' più ripido. In due ore arriviamo al panoramico Passo Sief (m 2209), che si trova ai piedi della rampa che a sinistra (Sud) porta in vetta alla basaltica Cima Sief. Dalla parte opposta (Nord) si stagliano invece i Settsass.

Dopo una breve sosta iniziamo la salita sulla rampa (con segnavia n. 21), che risulta sempre sufficientemente larga. La pendenza è alquanto accentuata, ma personalmente mi risulta meno faticosa dell'ultimo tratto della salita fino al passo. Bisogna fare attenzione per la traccia sulla neve molto accidentata. Sono però meno di 250 metri di dislivello che richiedono quasi un'ora di impegno, ben ricompensato dal sontuoso panorama offerto da Cima Sief (m 2424). A breve distanza c'è la vetta del Col di Lana, dalla quale si gode forse il panorama più ricco di tutte le Dolomiti. Però anche la nostra vetta non è da meno, per cui mi astengo dall'elencare le numerose montagne che possiamo ammirare da quassù, in compagnia con un altro ciaspolatore arrivato poco prima di noi. Spiccano comunque Marmolada, Sella, Puez, Tofane, Lagazuoi, Pelmo e Civetta.


Il pensiero di dovermi confrontare con la discesa per la via di salita su un fondo un po' insidioso a causa della neve irregolare e l'idea delle scarpate della montagna che affiancano ai due lati la nostra rampa mi inducono però a chiedere ai miei compagni d'avventura di intraprendere subito la discesa in un gruppetto compatto, dove io mi posiziono al secondo posto, soprattutto per non avere il grande vuoto nella mia visuale. La tensione e la necessità di frenare sempre l'andatura mi costringono ad imporre ai miei compagni un ritmo poco sciolto, ed impiego un'ora a giungere al passo, stremato e senza fiato.


La ridotta frequenza da parte mia dell'ambiente di montagna mi priva della fermezza e
dell'allenamento necessari per muovermi con disinvoltura sulle rocce innevate.


La luce al passo però è splendida, soprattutto verso i Settsass e verso Est. Dopo un frugale pasto, ripartiamo verso la nostra auto, dove arriviamo in un'ora e mezza percorrendo la stessa via dell'andata e incontrando uno scialpinista in tee shirt che ci chiede se c'è un rifugio nelle vicinanze. Ci dispiace deluderlo negandolo, ma poi scopriamo che cercava uno dei capanni di legno che sorgono lungo il sentiero.


L'escursione richiede un certo impegno, che in inverno varia a seconda della condizione della neve. Se ce ne fosse più di oggi, il cammino risulterebbe più faticoso, però forse la salita finale, e soprattutto la successiva discesa, presenterebbero meno problemi tecnici e psicologici. Ma con un meteo come quello di oggi, l'esperienza merita qualunque sforzo.






DISLIVELLO IN SALITA: m 700
ORE DI CAMMINO: 5 e 1/2
DIFFICOLTA': E

tracciato.gpx