venerdì 2 ottobre 2020

Col Rosà

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti Ampezzane





E' mercoledì 30 settembre 2020, il clima è soleggiato, ma molto fresco, specialmente nei fondovalle in ombra di mattina, con occasionali folate di vento, insistenti nei fondovalle e sulla cima; il cielo è molto limpido. Siamo una ventina, perché - per la seconda volta in questo mese - mi sono aggregato ad un gruppo che effettua da anni regolari escursioni una volta alla settimana. Alle 9 lasciamo le auto nel parcheggio del Centro visitatori del Parco Naturale delle Dolomiti d'Ampezzo, situato a quota m 1310 su una stradina che si diparte a sinistra 1 km dopo Fiames lungo la strada Cortina d'Ampezzo-Dobbiaco. Il clima è gelido e soffia un forte vento. Percorriamo un tratto di strada sterrata quasi pianeggiante (segnavia n. 417) che attraversa il Boite su un ponte di legno prendendo decisamente una direzione verso Sud, a fianco del torrente, le cui acque impetuose hanno sfumature turchesi. 



Tratto ripido iniziale del sentiero n. 447
Ad un certo punto un sentiero si stacca in salita verso destra (Ovest): è il nostro, con segnavia n. 447, adeguatamente segnalato al bivio. Si tratta dell'attacco della via normale alla nostra meta odierna: la cima del Col Rosà. A tale cima si perviene anche con una ardita via ferrata molto di moda, dedicata ad Ettore Bovero, che parte a quota m 1711 da Passo Posporcora. Noi invece affrontiamo la salita del sentiero n. 447, che parte subito molto ripida, ma almeno ci porta al sole. Ora si suda, e si deve prestare attenzione nell'incedere, visto che la parete che stiamo salendo, per la sua verticalità, rende il percorso un po' esposto. Il sentiero comunque è tracciato molto bene a stretti zig-zag, ed è frequentato praticamente solo da noi. 


Paretina attrezzata di primo grado

Dopo un po' il sentiero, senza perdere molto della sua ripidezza, entra in un bosco rado, ma ombroso, con molti larici. Ad un certo punto ci imbattiamo in una paretina di primo grado, ma molto breve (circa 7 metri) e non esposta. La sorpresa è che la parete è stata attrezzata, probabilmente quest'anno, con una solida corda d'acciaio che agevola la salita e rende più sicura la progressione, anche se è piazzata un po' troppo bassa. 






Formazione rocciosa verso il Cristallo


Il sentiero prosegue poi con la stessa inclinazione, fino ad uscire dal bosco e a passare nei pressi di una caratteristica formazione rocciosa di forma appuntita, dove probabilmente era stata allestita una postazione bellica. 








Nei pressi della cima, a destra le Tofane

Ci spostiamo quindi sul versante Nord della montagna (finora eravamo sul versante Est) e ci infiliamo in una densa macchia di mughi. Si può comunque progredire agevolmente, perché non ci sono rami di mughi ad ostacolarci e perché la pendenza diminuisce, seppur leggermente. E in più i mughi impediscono di vedere il vuoto che potrebbe circondarci, al quale qualcuno è piuttosto sensibile. 






Ultimi metri


Sulla cima


Dopo due ore e mezza di camminata abbastanza faticosa per i prevalenti tratti ripidi, arriviamo infine alla meritata cima del Col Rosà (m 2166). Il panorama è incantevole, quasi commovente, anche per la nitidezza dell'aria e perché finora non ne avevamo goduto. Le montagne più imponenti che possiamo ammirare sono le vicine Tofane e la Croda Rossa di Ampezzo, ma tutto l'orizzonte a 360° ci offre vedute entusiasmanti. Verso il basso e verso Sud si stende Cortina d'Ampezzo. 






Dalla cima verso le Tofane





Verso la Croda Rossa d'Ampezzo


























Arrivo della via ferrata Bovero

Il vento molto forte non ci incoraggia a restare a lungo in vetta, e dopo le foto di rito ed un veloce spuntino cominciamo la discesa, per la stessa via di salita. Vicino alla cima si trova il punto d'arrivo della citata via ferrata Bovero, che superiamo senza farci tentare. Poco dopo l'inizio della discesa, bisogna fare attenzione ad un ometto sulla destra, con riquadro rosso, perché il sentiero sembra scendere dritto, ma sarebbe un errore non spostarsi verso destra. Alla fine, dopo due ore di discesa molto agevolate dai bastoncini da trekking (tranne che nel tratto di paretina di primo grado), arriviamo in fondo valle alle nostre auto.









Inizio della discesa, verso la Croda del Becco


DISLIVELLO IN SALITA: m 900 circa
ORE DI CAMMINO: 4 e 1/2 
DIFFICOLTA': E con frequenti tratti EE e una breve paretina attrezzata di 1° grado

venerdì 4 settembre 2020

Cima Bocche

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti di Fassa







E' giovedì 3 settembre 2020, il clima è soleggiato, con alcune nuvole soprattutto sopra le cime più alte, la temperatura è fresca, il cielo è abbastanza limpido. Siamo in quattro, in compagnia di una brava giovane cagna, e alle 9,30 lasciamo le auto nel piccolo parcheggio della Malga Vallazza (m 1940), situata un po' a valle verso Ovest del Passo Vallès. I giorni scorsi è piovuto molto e sopra i 2500 metri è nevicato. Fino a Forcella Iuribrutto l'acqua sarà molto (talvolta anche troppo) presente sul nostro itinerario, mentre nei pressi della nostra cima odierna si farà vedere la neve. Attraversando da subito con un guado un corso d'acqua, imbocchiamo a sinistra (Ovest) della malga il sentiero n. 623 che con qualche saliscendi ci porta attraverso un bosco a Malga Iuribrutto (m 1912) dopo un percorso scomodo per via delle pietre alquanto sconnesse e scivolose usate come pavimentazione.



Il lago Iuribrutto verso Cima Bocche
Poco dopo Malga Iuribrutto prendiamo a destra (Nord) il sentiero n. 629 che dopo una salita abbastanza ripida raggiunge il pianoro dove si trova il Lago Iuribrutto (m 2206), sulle cui acque si specchiano le crode circostanti, tra le quali spicca il versante Est di Cima Bocche. E' evidente l'origine vulcanica delle montagne di questo gruppo, soprattutto dalla loro forma arrotondata e dalle formazioni rocciose di colore scuro che le compongono e che assumono a volte - specialmente nelle pareti Nord - un aspetto colonnare. Sono rocce formatesi quasi 300 milioni di anni fa, molto diverse da quelle che caratterizzano le Dolomiti. Un'altra particolarità che distingue nettamente il gruppo di Cima Bocche (e pure i Lagorai) dalle Dolomiti che lo circondano è l'elevata presenza di corsi d'acqua, che formano anche numerosi laghi e laghetti.



Salita al Passo Iuribrutto

Mulaz e Pale di San Martino Nord

Passo Iuribrutto
Continuando a salire lungo il sentiero n. 629 raggiungiamo il Passo Iuribrutto (m 2394), importante valico che separa Cima Bocche ad Ovest dal Monte Iuribrutto a Est e collega il versante del Passo Vallès a Sud con quello del Passo San Pellegrino a Nord.  Vi sorge una tettoia in legno, pomposamente denominata bivacco Iuribrutto. Qui lasciamo uno dei componenti del nostro gruppo, poco desideroso di affrontare la faticosa parte finale dell'itinerario odierno. Noi tre prendiamo il sentiero n. 628, che si inerpica sul ripido versante Est di Cima Bocche, passando per una pietraia che ci obbliga ad un'avanzata piuttosto impegnativa per la necessità di saltare da un masso all'altro cercando di non cadere. Questa è la parte più tecnicamente complicata dell'intera escursione, finché giungiamo sulla selletta (m 2560) che immette nella cresta Est di Cima Bocche, dove si congiunge al nostro il sentiero n. 626 proveniente dal lago di Bocche. Davanti ai nostri occhi si apre la vasta rampa sommitale di Cima Bocche, percorsa dal nostro sentiero n. 628 verso Nord e segnata da numerose trincee risalenti alla Prima Guerra Mondiale (qui combattevano gli Austro-Ungarici) lungo la sua estremità orientale.

Dalla cresta Est di Cima Bocche verso il Monte Iuribrutto


Sulla vetta
Con minore fatica giungiamo infine, dopo più di 3 ore di cammino complessivo, all'agognata vetta di Cima Bocche (m 2745), meta della nostra escursione, contrassegnata da una specie di capitello. Il panorama è grandioso, anche grazie alla limpidezza odierna dell'aria. Per citare solo le montagne più importanti, a Nord ammiriamo il Catinaccio, il Sassolungo, la Marmolada e la Civetta. Verso Sud dominano le pareti settentrionali delle Pale di San Martino, fiancheggiate dai Lagorai.




Da Cima Bocche verso Sud



Ci rifocilliamo velocemente (anche la cagna) e ripercorriamo, questa volta in discesa, il sentiero n. 628. La parte di sentiero compresa tra la selletta di quota m 2560 e il Passo Iuribrutto è impegnativa come in salita, a causa delle grosse pietre che richiedono molta attenzione.







Dal sentiero n. 631 verso la Cima




Lastè di Iuribrutto
Scendiamo quindi all'omonimo lago, che va aggirato per imboccare verso Nord-Est il sentiero n. 631, da noi scelto per il rientro, in modo da chiudere la passeggiata con un percorso ad anello, fino a Malga Vallazza, punto di partenza e di parcheggio delle auto. Questo sentiero sale prima di oltre 100 metri, in modo ripido e scosceso, al Lastè di Iuribrutto (m 2340) (dove ritroviamo il nostro amico rinunciatario), e poi si immette in un tracciato risalente alla Prima Guerra Mondiale, e con tutta probabilità mai oggetto di manutenzione sin da allora. Il fondo del sentiero è pavimentato da pietre piatte, ma spostate dalle intemperie, che rendono oltre modo fastidioso l'avanzare del povero escursionista. Quando il sentiero scende sotto quota m 2000 si infila in un bosco e raccoglie tutti i corsi d'acqua dei dintorni, che lo trasformano praticamente in un torrente, mancando del tutto canalette di scolo laterali. Con molti disagi, arriviamo finalmente a Malga Vallazza dopo 7 ore di duro, ma remunerativo cammino. Abbiamo attraversato zone molto suggestive ed insolite delle montagne che segnano il confine tra Veneto e Trentino, e dalla vetta abbiamo potuto riempirci gli occhi con paesaggi davvero meravigliosi.













DISLIVELLO IN SALITA: m 1000 circa
ORE DI CAMMINO: 7 
DIFFICOLTA': E con passaggi EE specialmente sul sentiero n. 631

sabato 8 agosto 2020

Col Quaternà

SUPERGRUPPO ALPINO:
Catena Carnica Occidentale







Lungo la mulattiera a zig-zag


E' venerdì 7 agosto 2020, il clima è soleggiato, con alcune nuvole soprattutto sopra le cime più alte, la temperatura è umida, ma non afosa. Siamo in quattro e alle 9,45 lasciamo l'auto nell'ampio parcheggio della Malga Coltrondo (m 1879), raggiunta tramite una stradina asfaltata (segnavia 149), ma non in ottimo stato, che si stacca a destra qualche chilometro dopo Dosoledo dalla strada che conduce al Passo Monte Croce Comelico e attraversa un bosco di conifere che attira in questa stagione cercatori di porcini.







Salita alla Sella del Quaternà

A piedi continuiamo lungo la stradina n. 149, non più asfaltata, che in lieve salita passa verso Est per la Casera Rinfreddo (m 1887), e poco dopo raggiungiamo la diramazione verso Nord (sinistra) diretta alla Sella del Quaternà. Questo monte si mostra ora sopra di noi con la tipica forma che tradisce la sua origine vulcanica. La vegetazione, da questo livello (m 2050 circa) in su si limita ad un tappeto erboso che avvolge le morbide linee montuose. La mulattiera, dal fondo sconnesso, sale regolarmente a zig-zag e consente il transito di numerosi ciclisti in mountain bike, che non invidiamo per la fatica che devono sostenere in salita, ma anche in discesa per controllare la velocità dei loro mezzi. La pendenza del percorso in effetti si accentua, senza però divenire proibitiva.



Dalla cima verso i Tre Scarperi

Superiamo a quota 2300 un altro bivio, lasciando a destra il sentiero n. 148, che punta verso Sud alla cresta della Costa della Spina. A quota 2379 arriviamo alla Sella del Quaternà, dove si apre davanti a noi la veduta delle cime che sorgono a Est del Comelico, in particolare il Cavallino, il Palombino e le ardite Crode dei Longerin, teatro di una nostra escursione di alcuni anni fa. Dalla sella parte la salita finale alla nostra cima, su un sentiero più erto dei precedenti, che nei suoi tratti finali richiede particolare attenzione. Perveniamo così sulla vetta del Col Quaternà (m 2503), dove è stata posta un'ambiziosa croce metallica.


Dalla cima verso Ovest

Il panorama non tradisce le attese, nonostante una certa foschia. Ad Ovest ammiriamo le splendide Dolomiti di Sesto (Tre Scarperi, Croda Rossa, Cima Undici, Cima Bagni, Ambata, Ligonto, per limitarsi alle più importanti), a Sud-Est le tre cime nominate prima, a Sud, più in distanza, il fondo valle di Padola e alle sue spalle Crissin, Pupera e Brentoni. Stando attenti a non avvicinarci troppo alle ortiche, insolite su una vetta dolomitica, ci gustiamo il nostro pranzo al sacco e firmiamo il libro di vetta.

Dalla cima verso Sud


Dalla cima verso Palombino e Longerin



Scendendo dalla cima









Con molta cautela, iniziamo quindi la discesa alla Sella, e poi imbocchiamo il sentiero diretto a Nord, con l'intenzione di fare il giro completo del Col Quaternà. In pochi minuti giungiamo al Passo Silvella (m 2329), importante crocevia di sentieri, e puntiamo a sinistra (Nord-Ovest) lungo il sentiero 146, che abbandoniamo poco dopo per scendere a sinistra (Ovest) per il sentiero 159.







Versante Est del Col Quaternà

Qui sentiamo il bisogno di fare i nostri complimenti a chi ha tracciato e a chi si occupa della manutenzione di questo sentiero, che aggira i fianchi Nord del Col Quaternà perdendo quota molto gradatamente e superando in traversata declivi cespugliosi alquanto accidentati. Il sentiero è poco frequentato, a giudicare dalle tracce, ma consente di concludere l'escursione con un anello che evita l'affollata Malga Nemes, lasciandola molto sulla destra (Nord-Ovest), e non costringe a ripetere il percorso dell'andata.



Scendendo al Passo Silvella

Si attraversano così pendii popolati da rododendri - la cui fioritura purtroppo è già terminata -, ginepri e silene in fiore. Quest'ultima erba ha foglioline commestibili, apprezzate nei risotti, e viene chiamata nelle nostre zone grìsoi o s-ciopetini. Questa zona è anche ricca di acqua, che forma ruscelli e piccole pozze paludose. Il nostro sentiero confluisce in quello contrassegnato con il numero 156 poco prima di arrivare al parcheggio dove ci attende la nostra auto.








tracciato gpx
DISLIVELLO IN SALITA: m 650 circa
ORE DI CAMMINO: 5 
DIFFICOLTA': E

martedì 28 luglio 2020

Cima Ombrettola

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti di Fassa






E' lunedì 27 luglio 2020, il clima è soleggiato, con alcune nuvole soprattutto sopra le cime più alte, la temperatura è fresca ed umida. Siamo in tre e alle 9 lasciamo l'auto nel parcheggio a pagamento del Passo San Pellegrino (m 1906), qualche tornante sopra Falcade. Imbocchiamo la stradina sterrata con segnavia 607 che parte poco sotto e ad Est del Passo, diretta a Fuciade. Ben presto scopriamo che lungo questa stradina ci sono altri tre piccoli parcheggi, gratuiti. Dopo alcuni saliscendi, in meno di un ora arriviamo ai pascoli ondulati dove si trova la predetta località Fuciade, attorno all'omonimo rifugio, a quota m 1950 circa.


Qui inizia una stradina, molto sconnessa, che mantenendo lo stesso segnavia sale verso Nord attraversando i pascoli popolati da mandrie di mucche, un cavallo e qualche asino e stringendosi fino a divenire un angusto sentiero. Arriviamo quindi all'impetuoso torrente Jigolé, affluente del Biois, che si attraversa su un ponticello di legno. Qui il sentiero comincia ad inerpicarsi con ampi zigzag su un erto spallone erboso che arriva ad una spianata a quota m 2200 circa, dove verso destra (Est) si stacca il sentiero 693, diretto al passo della Forca Rossa. Noi ci teniamo a sinistra e passiamo vicino ad un monumento che si riferisce all'epoca della Prima Guerra Mondiale, quando in questi luoghi si è combattuto tra italiani ed austriaci.










Di fronte a noi, verso Nord-Ovest sale un canalone ghiaioso attraverso il quale si salirebbe a Cima Uomo. Giunti a quota m 2425 in località Buco della Taschia troviamo però un bivio dove andiamo a destra (Nord-Est) a salire un primo grande ghiaione solcato da intelligenti zigzag del sentiero (sempre 607) che attenuano la ripidezza del ghiaione e rendono l'ascesa meno faticosa.














Spostatici un po' verso Est affrontiamo infine un ghiaione finale, ancora più ripido e attraversato da numerose tracce in salita ed in discesa. Scegliendo quelle più abbordabili alle 11.50 arriviamo faticosamente al Passo delle Cirelle (m 2682), importante valico che collega la valle del Biois a quella di Fassa, teatro di combattimenti durante la Prima Guerra Mondiale, di cui possono ancora trovarsi testimonianze.








Qui ci fermiamo un po' vicino ad una residua lingua di neve, a tirare il fiato ed a cercare di indovinare verso Est il tracciato del sentiero (n. 612B) che ci porterà al Passo Ombrettola. Quando le nuvole ce lo permettono, ammiriamo verso Nord e Nord-Est il Gran Vernel, la Marmolada, il Sasso Vernale e la nostra meta, la Cima Ombrettola. Uno di noi però desiste dal continuare l'escursione, appagato del percorso già compiuto, vista la sua carenza di allenamento a questi dislivelli.


Io ed il mio baldanzoso amico partiamo ed in breve scopriamo che il sentiero sale decisamente ed attraversa una zona rocciosa con passaggi alquanto scoscesi, sebbene non molto esposti, che richiedono però una prudenza particolare per evitare scivolate con conseguenze sgradevoli. Dobbiamo superare anche alcune lingue di neve dura, molte delle quali piuttosto inclinate. Sotto le nuvole perveniamo infine sul confine di Regione al Passo Ombrettola (m 2864), che separa il Sasso Vernale a Nord da Cima Ombrettola a Sud. A quest'ultima (m 2931) saliamo lungo il pendio ghiaioso, vicino alla cresta Est di tale modesta montagna. In 10-15 minuti, poco più di un'ora dalla partenza dal Passo delle Cirelle, siamo in cima, dove si trova una piccola croce di legno. Le nuvole non solo ci nascondono gran parte del panorama, ma abbassano anche la temperatura. A Sud la Cima precipita sulla forcella del Bachet, a cui porterebbe un piccolo camino verticale, che però in questo contesto ambientale non ci attira per niente.




Ritorniamo quindi percorrendo pedissequamente la via dell'andata, che include fastidiosi tratti di risalita, ed in tre quarti d'ora siamo di nuovo al Passo delle Cirelle. Da questo scendiamo i due grandi ghiaioni verso Fuciade, preferendo una discesa quasi verticale lungo colate di sassi minuti, che rendono più veloce e quasi divertente la perdita di quota. A un certo punto (quota m 2300 circa) scorgiamo, sulla destra del ghiaione che presenta piccole macchie d'erba, un branco di ben 12 camosci, che si tengono a prudente distanza da questi umani scapestrati. Dopo un po' arriviamo al
calore di Fuciade, dove il sole non è quasi mai mancato. Qui troviamo il nostro amico, con cui ci prendiamo caffè e birra (a seconda dei nostri rispettivi gusti) seduti ad un tavolo sotto un ampio ombrellone. In meno di un'ora siamo al Passo San Pellegrino, chiudendo una camminata di sette ore complessive in una delle zone più suggestive delle Dolomiti.




tracciato.gpx
DISLIVELLO IN SALITA: m 1200 circa
ORE DI CAMMINO: 7 
DIFFICOLTA': E con alcuni brevi tratti EE prima del Passo Ombrettola

mercoledì 8 luglio 2020

Forcella di Mesdì - Odle

SUPERGRUPPO ALPINO:
Dolomiti di Gardena



E' sabato 4 luglio 2020, il clima è ideale: soleggiato, cielo limpido con qualche occasionale nuvola, temperatura  moderata, lieve brezza. Sono solo e verso le 9.15 lascio l'auto a quota m 1350 circa, nel parcheggio a pagamento in località Ranui nella frazione di Santa Maddalena in val di Funes (BZ). Imbocco subito la stradina sterrata con segnavia 28 che risale verso Sud la valle del rio di Brogles, in un bosco rado di conifere, parzialmente colpito dalla tempesta Vaia del 2018. A quota m 1700 circa la stradina termina in un sentiero che subito si biforca: a destra si va in direzione della malga (o rifugio) Brogles, mantenendo il segnavia 28. Io prendo invece il ramo di sinistra (segnavia 29), con indicazione Forcella di Mesdì. In tedesco tale forcella è denominata Mittagsscharte.


L'ambiente rimane gradevolmente boschivo fino all'incrocio col sentiero Adolf Munkel Weg (segnavia 35) a quota m 1870, che percorre la base dei ghiaioni del versante Nord delle Odle, il più notevole dal punto di vista panoramico. Qui si svolta a destra (Ovest) e dopo pochi metri si giunge ad un altro bivio. Andando dritti (Ovest) ci si dirige lungo l'Adolf Munkel Weg alla malga Brogles, già citata. A sinistra invece (Sud) inizia la salita alla nostra meta, con segnavia 29. Come ogni biforcazione di sentieri in val di Funes, anche questa è ampiamente segnalata con frecce di legno, che spesso indicano anche il tempo necessario per raggiungere la destinazione, in questo caso due ore abbondanti. Si tratta infatti di superare un dislivello di quasi 750 metri.




I primi due terzi della salita si svolgono su un tracciato a zigzag molto logico, che evita tratti ripidi pur risalendo un ampio ghiaione. All'inizio si attraversa una macchia di mughi, poi la vegetazione si riduce ad una base erbosa con qualche isolato larice. Il terreno è roccioso con un sottile strato superficiale di terra.






A quota m 2300 circa cambia la conformazione del suolo, che diviene ghiaioso e poi più decisamente pietroso. Il sentiero rimane comunque ben praticabile, finché non si imbocca il canalone finale, con qualche residua lingua di neve. Qui il percorso si fa più impegnativo (da classificare EE), ma in salita non crea problemi, anche perché non è mai esposto.

Oggi questo itinerario è stato scelto da un buon numero di escursionisti, molti dei quali stanno già affrontando la discesa. Io usufruisco di una buona condizione fisica, che mi permette di completare i 1250 metri di dislivello senza eccessiva fatica, col fiato e le gambe a posto.










Arrivo alla Forcella di Mesdì (m 2600 circa) con grande soddisfazione un po' prima delle 12.30. Qui mi si apre un'ampia veduta verso Sud-Est in direzione di cime che non conosco della val Gardena. Voltandomi indietro verso Nord in primo piano apprezzo la ripidezza del tratto finale che ho appena rimontato, mentre in distanza ammiro la val di Funes ed ancora più in là la valle dell'Isarco e lontane vette innevate.





A Est della forcella (sinistra per chi come me sale dalla Val di Funes) si erge il Sass Rigais (m 3025), una delle due cime maggiori delle Odle, verso la quale parte da qui una delle ferrate che ne rappresentano le vie normali di ascesa. La struttura rocciosa del Sass Rigais, vista da qui, è singolarmente articolata, con una pietra di aspetto quasi spugnoso, sebbene ovviamente più solida.



Mentre mi rilasso e mi concedo un breve meritato riposo, giunge in forcella dalla val Gardena una giovane coppia. L'uomo porta in un marsupio una neonata dormiente di cinque mesi, che mi ricorda la mia nipotina della stessa età.

Inizio quindi la discesa, per lo stesso percorso dell'andata, prestando molta attenzione nel tratto iniziale, ad evitare di scivolare, grazie anche all'aiuto dei bastoncini da trekking. Tutto comunque procede senza incidenti, e dopo tre ore giungo alla mia macchina, voltandomi ogni tanto a guardare le splendide Odle e il valico che ho conquistato.
















DISLIVELLO IN SALITA: m 1250 circa
ORE DI CAMMINO: 6 e 1/2
DIFFICOLTA': E con un tratto EE

giovedì 25 giugno 2020

Torresel - Cisa - Cimone

SUPERGRUPPO ALPINO:
Catena Cavallo-Visentin



E' lunedì 22 giugno 2020, il clima è fresco-estivo, il cielo è limpido dopo la pioggia dei giorni scorsi.  Sono solo e verso le 10 parcheggio l'auto a quota m 700 circa, davanti alla trattoria La Pineta (chiusa) al passo San Boldo. La mia meta odierna è il Torresel, una modesta, ma significativa elevazione che fa parte delle cime situate ad Est del passo. La più alta di tali cime è il monte Cimone, dove sono stato due anni fa. In questa relazione userò alcune foto scattate allora, ma, al contrario del Torresel, il Cimone - benché più elevato - è poco remunerativo dal punto di vista panoramico, e secondo me non merita da solo un'escursione.


Imbocco una stradina asfaltata che sale verso Est, raggiungendo subito la strada denominata Caldella, che comincia proprio sul passo e si dirige, con un percorso alquanto sinuoso, fino a Tovena, dove parte l'attuale via di salita per le auto che vogliono valicare il passo San Boldo venendo dal Trevigiano. La Caldella, man mano che sale, è asfaltata all'inizio, poi cementata e infine sterrata, ma sempre ben tracciata senza tratti troppo ripidi. Dopo 40 minuti di cammino, superate le casere Monvecchio, a circa 900 metri di quota, prima di giungere al borgo di Jal, si prende una deviazione a sinistra segnalata da un cartello che indica il monte Cimone. La nostra nuova stradina dopo un po' fa un tornante a sinistra in corrispondenza con lo stacco a destra di un sentiero segnalato con l'indicazione Lama Casere Vanon. Qualche guida suggerisce di salire verso le casere Vanon se si è diretti al Torresel, ma io ritengo preferibile invece seguire il tracciato principale verso il monte Cimone, perché l'altro sentiero , una volta raggiunta la località Vanon in posizione panoramica, si fa più incerto ed è facile smarrirne le tracce, dovendo puntare verso Sud per la linea di massima pendenza finché non si esce dal bosco. Andando verso il Cimone si trova poco dopo una casa a destra, dove inizia un ripido sentiero verso sinistra (Nord) che attraversa un bosco ombroso di alte conifere.


Usciti dal bosco si continua a salire attraversando prati inclinati e passando presso una casera dirupata, fino a quota 1200 circa, dove si trova un bivio, dopo un'ora e mezza di cammino dalla partenza. Qui, se si va a sinistra (Nord) si arriva in breve alla vetta del monte Cimone (m 1281), contrassegnata da un'antiestetica torre metallica che sorregge numerose antenne di ripetitori televisivi e telefonici. Noi invece prendiamo a destra e con una moderata salita sotto un bosco non molto fitto con un percorso di cresta arriviamo sulla Cisa (m 1266).




La cresta prosegue dopo il punto più alto, dove il sentiero fa una nuova biforcazione: se si scende a sinistra si segue il sentiero E7 Portogallo-Romania, che porterebbe al Pian delle Femene e poi al Col Visentin. Procedendo dritti - come faremo noi - si scende gradatamente restando in cresta con la vegetazione che si dirada sempre più mostrando a sinistra la pianura del Trevigiano e a destra la Val Belluna.






In breve si giunge in vista del cocuzzolo che rappresenta la nostra meta odierna: il Torresel (m 1147), che porta anche altri nomi. Alla sua cima si perviene percorrendo una breve rampa appena un po' esposta, ma sufficientemente larga per consentire il transito anche a chi come me soffre di vertigini (o acrofobia). Nel punto più alto sono stati installati un tavolo di legno con due panche e vicino una bandiera italiana metallica, che gira assecondando il vento prevalente ed è visibile da molti punti del fondovalle di Tovena e Soller.




Personalmente, per un piacevole e ben meritato picnic preferirei un più confortevole ed ombroso spiazzo situato sotto due alberi che crescono proprio sulla cresta dove corre il sentiero che arriva qui dalla Cisa, dove il panorama è impagabile. Per il ritorno bisogna percorrere l'itinerario dell'andata, risalendo senza troppa fatica fino alla Cisa. Sulla sinistra si nota un palo con un cartello dove sta scritto TV 1, in corrispondenza con l'inizio di un sentiero che scende verosimilmente a congiungersi (non sappiamo dove) con quello che porta alle casere Vanon. Se si vuole proprio introdurre una variante rispetto al percorso di salita, si può scegliere l'avventura di questa deviazione, altrimenti si può tranquillamente ritornare per il cammino dell'andata, avendo l'accortezza di non trascurare la freccia verso sinistra in coincidenza col bivio superato in salita.









Se si ignora tale deviazione si arriva in breve in moderata salita alla vetta del monte Cimone, dopodiché occorre ritornare sui propri passi fino al bivio. Al punto di partenza si perviene dopo circa 3 ore e mezza complessive di cammino, a cui va aggiunta la salutare sosta per il pasto consumato all'ombra dominando le vallate.
















DISLIVELLO IN SALITA: m 650 circa
ORE DI CAMMINO: 3 e 1/2
DIFFICOLTA': T/E